Serie Tv, torna la nostra rubrica dalla Mostra del cinema di Venezia: M – Il figlio del secolo

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Ci sono poche presentazioni da fare: tratta dal best-seller di Antonio Scurati (primo di una fortunatissima trilogia e vincitore del premio strega nel 2019), M è la serie che ci racconta tutte le sfumature del personaggio più controverso, inviso, ma allo stesso tempo meno compreso della  nostra storia: Benito (Amilcare Andrea) Mussolini. Il dittatore che ha tristemente cambiato la storia d’Italia, d’Europa, e del mondo.

Questa prima stagione (sicuramente seguiranno altre due tratte dai libri successivi di Scurati, o almeno così ci auguriamo) racconta in particolare la fase più delicata della storia umana e politica del duce, quella che va dalla fine della Prima Guerra Mondiale, alla definitiva nascita della dittatura fascista nel 1925.

Una serie grandiosa, magniloquente, pomposa e pop, questa diretta da Joe Wright (maestro del cinema storico, suoi anche Espiazione e il biopic su Churchill L’ora più buia), che ha numerosi pregi, ma che soprattutto ha il merito di analizzare e spiegare perfettamente allo spettatore ogni singolo passo che il movimento fascista ha compiuto dalla sua origine alla definitiva imposizione sulla scena politica italiana, sviscerando episodi e personaggi storici tanto nel dettaglio da far appassionare anche le persone più digiune verso l’argomento.

Il secondo grande merito è sicuramente che, a differenza di alcuni prodotti televisivi che finiscono per romanticizzare fatti e personaggi spesso controversi (si pensi alle polemiche ai tempi dell’uscita di Gomorra), in nessun minuto di questa serie si può pensare, nemmeno per un momento, di empatizzare con gli oscuri protagonisti, che di fatto protagonisti non sono. I fascisti sono violenti, squadristi, criminali, stupratori, avidi di soldi e potere, cani rabbiosi senza guinzaglio a cui è permesso scorrazzare nel confusissimo periodo storico del primo dopoguerra, “rivoluzionari” asserviti al potere degli industriali, facinorosi aizzati per arginare la diffusione del socialismo.

E poi c’è Benito Mussolini che, come lui stesso ammette in uno dei momenti più alti: 

“Se il fascismo è stato un’associazione a delinquere, io ne sono il capo!” 

Il Mussolini di Marinelli (interpretazione incredibile, ma sembra superfluo specificarlo) è un antieroe tanto disgustoso e allo stesso tempo carismatico, da colpire lo spettatore per la sua nera grandezza, complice anche l’azzeccatissima scelta di far rompere al personaggio la quarta parete: Benito si spiega, si confessa, si mette a nudo continuamente, così come un serial killer farebbe durante un terzo grado, ma lo fa con goduria, con sadico piacere, mentre rovina lentamente le vite di tutte le persone che gli stanno accanto. 

Tutti i personaggi che si muovono intorno a lui, in un modo o nell’altro, finiscono triturati dalla sua sfrenata e malvagia ambizione, e non a caso a fargli da contraltari perfetti ci sono le figure femminili, le uniche in grado in inquadrare davvero le nefandezze di cui Benito si mostra continuamente capace, ma non per questo in grado di ostacolarlo, o tantomeno di sottrarsi al suo oscuro fascino. Gli uomini invece si muovono su diverse sfumature, tutte negative: escludendo il personaggio di Matteotti (mostrato per la eroica icona che è stata) ci si muove  tra una classe di politici deboli e spaesati, un re malfermo e ingenuo, poeti e intellettuali vanagloriosi e superbi, una banda di trogloditi violenti pronti a pestare e uccidere al primo ordine, e un’unica figura al di sopra delle parti, quella di Cesarino Rossi, vero unico intimo amico del duce, che ha gli occhi per vedere ma non l’integrità morale per agire, fino a quando non rimarrà schiacciato anche lui dal terribile meccanismo che ha contribuito a creare.

Una messa in scena impeccabile (spettrale la Milano del 1919), un linguaggio visivo velocissimo e accattivante, una colonna sonora musicale perfetta. Qualche difetto lo si può trovare: a volte il ritmo delle immagini e dei fatti rischia di saturare il racconto, e martellare inutilmente i sensi dello spettatore, appiattendo la visione su una eccessiva smania narrativa; e probabilmente la prima parte della serie, con la rappresentazione di vicende storiche meno note, e della graduale ascesa di un potere malefico sotterraneo, è più interessante della seconda, più incentrata sul Mussolini al potere, ma anche per questo più rivista.

Ma detto ciò non si può che essere felici del fatto che grazie a questa serie ora l’Italia può rivendicare un prodotto di argomento storico di prima categoria, e che, fondamentale in tempi come questi, gli spettatori hanno l’occasione di fare un bel ripasso sul momento più buio della nostra democrazia; o forse della democrazia in generale. Tutto Made in Italy.

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