Iniziamo un breve viaggio di qualche puntata con un nostro corrispondente, che sbarca di nuovo su Ithaca dopo qualche tempo. A voi l’introduzione e il primo film!
Ormai è passato un mese dal Festival del cinema di Venezia: un’edizione sfavillante della kermesse, caratterizzata dalla presenza di registi da tutto il mondo, pochi grandi maestri tra quelli in concorso (anche se poi uno dei pochi, Almodòvar, ha vinto infine il premio principale) e molti nomi emergenti provenienti dal cinema indipendente e sperimentale.
Dato che molti dei film presentati al Lido non sono ancora usciti e, dato che non è mai tardi per parlare di cinema, proponiamo qui le recensioni dei prodotti principali che siamo riusciti a visionare, sperando che ciò riaccenda la curiosità verso alcune opere che non sono ancora uscite in sala e che meriterebbero la visione.
In generale il tono del Festival è stato molto in linea con il periodo storico che stiamo vivendo, sia per le tematiche trattate, sia quanto riguarda la sensibilità visiva dei nostri tempi. Hanno spadroneggiato infatti le serie tv, tra cui ben quattro produzioni internazionali (una delle quali potete trovare in questo articolo) e anche qualcuna italiana, una scelta di programmazione che ha fatto storcere il naso a molti appassionati del formato cinematografico tout-court: non gli si può dare torto visto che il mezzo televisivo e quello cinematografico, pur se figli dello stesso tipo di arte, hanno linguaggi e ritmi diversi, e quindi metodi realizzativi a loro volta diversi, una differenza che nei tempi della fruizione audiovisiva sui social, sempre più frammentata, andrebbe sempre tenuta in considerazione.
Comunque, senza perderci in discorsi da boomer, ci si è consolati con la qualità delle serie proposte, che in molti casi è stata più che apprezzabile.
Riguardo ai temi che più sono stati analizzati nei film in concorso, si è percepita la palpabile attenzione verso argomenti di forte attualità, sia di carattere sociale, come la questione di genere, e l’approfondimento di tematiche LGBT, sia di carattere più prettamente politico: la guerra, la rivoluzione, il controllo delle masse, la crisi della democrazia.
Poco spazio invece ad altre tematiche forse ancora troppo complesse, o troppo vicine nel tempo, da essere reinterpretate nella maniera giusta, come il cambiamento climatico, gli effetti della pandemia, e la diffusione delle intelligenze artificiali (che tanto stanno ostacolando la creatività nel cinema).
Un Festival in ogni caso estremamente attuale, e soprattutto sul versante delle produzioni italiane, anche pieno di belle sorprese.
Per orientare meglio la lettura si è deciso di suddividere l’articolo tra film, documentari e serie tv, in modo da farsi un quadro completo del panorama di opere che abbiamo avuto modo di vedere.
Ma andiamo ad analizzare le cose più nel dettaglio.
FILM:
NONOSTANTE (Valerio Mastandrea)
***1/2
All’interno di un ospedale, nel reparto di terapia intensiva, si intrecciano le storie di vari personaggi in lotta contro un destino che li insegue, che li vuole portare via. C’è un unico dettaglio da tenere in considerazione: tutti loro sono in realtà in coma, e la vita che stiamo vedendo è quella che il loro cervello ancora a malapena attivo riesce a immaginare al di fuori del proprio corpo fisico.
Mastandrea regista (alla sua seconda prova nel lungometraggio dopo il film Ride del 2018) si cala all’interno di una tematica molto delicata con grande intelligenza e fantasia, riuscendo a rendere leggera (o quantomeno agrodolce) una storia che di lieto non avrebbe niente. Ci riesce soprattutto attraverso una regia posata, briosa quando necessario, attraverso l’utilizzo di alcune trovate sceniche potenti nella loro semplicità (sbilanciamoci: a volte dal sapore quasi felliniano) e attraverso il tratteggio di una galleria di personaggi caratterizzati quanto basta per renderli motivo di empatia da parte dello spettatore. Forse rimane un po’ più debole il personaggio interpretato da Dolores Fonzi, che a volte non sembra trovare la giusta chimica con il protagonista: peccato, vista la sua importanza nell’economia della storia.
In ogni caso la dialettica tra spazio dentro e fuori dall’ospedale, da’ al film quel motivo di svago, quel movimento, che evita alla pellicola di trasformarsi in un trito dramma esistenziale, e anzi sorprende in più di un occasione lo spettatore attraverso la descrizione di una Roma metafisica, quasi proibita, ma assolutamente più affascinante di quanto a noi, viventi abituati a vivere i grigi spazi della città, possa sembrare.
Un film che vuole far riflettere sulla perdita, sulla rinascita (fisica, ma anche della speranza), sulla memoria, ma affrontando questi temi da un punto di vista totalmente inedito, e che rovescia la visione della malattia e della morte come condizioni di perdita, di dolore, per mostrare l’altra faccia della medaglia.
Un ottima prova per il Mastandrea regista che dimostra di avere l’ironia giusta per affrontare al meglio un soggetto così delicato.