Diva Futura: luci e ombre del cinema erotico italiano (da Venezia)

10.7K visualizzazioni
1 minuto di lettura

Alla fine degli anni ‘80 in Italia, un fotografo e regista appassionato di erotismo riuscì nel giro di pochi anni a creare un’agenzia di modelle e professioniste dell’erotismo che cambiò il panorama della pornografia del belpaese: l’agenzia si chiamava Diva Futura e il giovane visionario rispondeva al nome di Riccardo Schicchi.

Quell’agenzia partorirà nomi iconici della cultura (non solo erotica) italiana come Cicciolina, Eva Henger e Moana Pozzi. 

La storia della mitica agenzia che ha cambiato il modo di vendere (e vedere) l’erotismo in Italia, era a sua volta un materiale scottante da riportare in forma cinematografica: una storia lunga, densa, ma anche frammentaria, piena di personaggi e sottotrame, ricca di interessanti implicazioni sociologiche.

Da dove iniziare per raccontare una vicenda così complessa? Una domanda che dev’essersi posta anche la regista Giulia Steigerwalt, e a cui evidentemente non è riuscita a trovare la giusta risposta.

Sì perché il film, esattamente come la materia di provenienza, rimane frammentario e confuso, soprattutto a livello narrativo, incastrato in un meccanismo di flashback e flashforward che imbroglia la storia in maniera poco intelligente, provando a raccontare tutto ma di fatto, non riuscendo ad affondare in profondità in niente.

Anche il pretesto narrativo che è alla base del film, il racconto dal punto di vista della segretaria Debora, risulta di fatto futile quando il film continua a spostare il focus da lei, a Schicchi, a Eva Henger (che alla fine risulta la vera protagonista morale del film), cercando talvolta di emulare una regia e un ritmo narrativo da gangster movie, quasi alla Scorsese, pur però mancando totalmente della sua forza.

Ok, adesso che il film sembra demolito comunque, non si fraintenda: Diva Futura è un prodotto godibile, che riesce sicuramente nell’intento di far empatizzare con un protagonista innegabilmente divertente, e con il mondo sfavillante che lo circonda, riuscendo perfino a far commuovere in alcuni frangenti. Ma se si aspetta di vedere un grande affresco di costume di un’epoca (come il film sembrava promettere) si può dire che le aspettative vengano disattese.

Un prodotto ben fatto, e ben confezionato, ma che alla fine della fiera rimane un po’ anonimo. Peccato.

Lascia un commento

Your email address will not be published.

Previous Story

La grazia nascosta nelle cose: il mondo del fumetto di Gipi

Next Story

Svegliare le coscienze progressiste: un reportage da “Polittica” a Bari

Ultime da