“L’intelligenza è qualcosa che conosciamo solo in funzione di quella umana”. Esordisce così Davide Casaleggio nel presentare con chiarezza e semplicità rare il suo ultimo libro, “Gli algoritmi del potere”. Si tratta di un’appassionante guida alla nuova era della democrazia digitale e dell’Intelligenza Artificiale per comprendere i nascenti paradigmi che rivoluzioneranno la società. L’occasione a San Benedetto del Tronto era organizzata dall’instancabile Mimmo Minuto (una collaborazione Luoghi della scrittura, Libri ed eventi, UTES e azienda INIM). Il ben noto autore è un imprenditore specializzato nella consulenza strategica per l’innovazione digitale, per applicare le rivoluzioni tecnologiche a nuovi modelli di business e organizzativi. Dal 2016 è presidente di Casaleggio Associati e dell’Associazione Rousseau, create insieme al padre Gianroberto. Ideatore della piattaforma Rousseau, già premiata come migliore piattaforma di partecipazione al mondo nella categoria Impatto e detentrice del record mondiale per una votazione online in un singolo giorno, è oggi socio fondatore e presidente del progetto Camelot, il cui obiettivo è promuovere la partecipazione online con voti e assemblee legalmente riconosciuti.
L’intelligenza artificiale generativa. “La sperimentiamo da paio d’anni ormai ed è stupefacente, anche se c’è chi dice che nasce da qualcosa di banale come le tecnologie per la traduzione fra le lingue [noi su Ithaca ne abbiamo parlato QUI in modo approfondito]. Ma l’intelligenza è proprio un fenomeno emergente: in un sistema complesso, le proprietà emergenti sono quelle che non si trovano negli elementi di base o nella struttura iniziale, ma che si manifestano successivamente, una volta che il sistema raggiunge un certo livello di complessità o dimensione. La nostra intelligenza, ad esempio, non risiede nei singoli neuroni, ma nasce quando 85 miliardi di essi si connettono attraverso le sinapsi. Allo stesso modo, l’intelligenza di un’azienda persiste anche se un dipendente se ne va. La stessa logica si applica a uno sciame di api o a un formicaio: la loro capacità di organizzare il gruppo in funzione di obiettivi specifici non dipende dall’assenza di una singola ape o formica. L’intelligenza, quindi, è collettiva ed emergente: mettendo insieme elementi che, presi singolarmente, non possiedono quel tipo di intelligenza, emerge quasi come per magia una capacità nuova e inaspettata”.
Stiamo diventando più stupidi? “Nel 1905 fu creato il primo test per misurare il Quoziente Intellettivo (QI) e nel corso del secolo divenne uno standard globale per quantificare l’intelligenza. Con la scoperta dell’effetto Flynn, fu dimostrato un costante incremento del QI medio, suggerendo che l’umanità stava diventando più intelligente. Tuttavia, a partire dagli anni ’90, questo aumento si è fermato: cos’è successo? Il problema sta nel fatto che il QI misura solo ciò che il nostro cervello è in grado di fare internamente, ma oggi viviamo in un mondo in cui esternalizziamo sempre più funzioni cognitive. Da decenni utilizziamo strumenti tecnologici per gestire attività che una volta richiedevano puro sforzo mentale: dai calcoli matematici alle decisioni quotidiane, molte delle nostre capacità sono delegate a dispositivi digitali”.
Oggi l’AI riesce a essere persuasiva. “Oggi, gli algoritmi sono diventati più efficienti di noi in molte sfide che un tempo consideravamo esclusivamente umane. Dagli scacchi al gioco del Go, le macchine hanno superato l’uomo, ma non è tutto. Oggi, gli algoritmi eccellono anche in un ambito che non ci saremmo immaginati: la persuasione. Pensate, ad esempio, all’esperienza che si può avere con Tesla. Visitate il loro sito, inserite alcuni dati, e presto riceverete una chiamata da una voce che interagisce con voi in modo straordinariamente fluido ed efficace. Non è umana, ma può convincere. Ed è destinata a migliorare sempre più. L’intelligenza artificiale sta diventando una presenza costante nelle nostre vite, come dimostra l’uso record di ChatGPT, utilizzata da 100 milioni di persone nei primi cinque giorni dal suo lancio, un ritmo di diffusione mai visto prima per qualsiasi innovazione. Ora, l’umanità si trova di fronte a una nuova sfida: guidare questa trasformazione. La rivoluzione digitale, accelerata dall’intelligenza artificiale, sta riscrivendo le regole dell’economia, della società e della politica”.
I nuovi diritti digitali. “Ogni progresso tecnologico ha sempre portato con sé la nascita di nuovi diritti, creando le condizioni per il loro esercizio. Ma ogni volta che si affaccia una nuova tecnologia, il potere tende a volerla controllare, spesso tramite commissioni o comitati ad hoc. È successo negli anni ’30, quando si voleva regolare l’influenza ‘pericolosa’ dei fumetti di Tarzan, e succede oggi con l’idea di creare “comitati della verità” per arginare la diffusione delle fake news. Le notizie false, però, non sono una novità. Spesso si presentano in forma involontaria, come nel caso del mito del ferro presente negli spinaci, veicolato da Braccio di Ferro. Altre volte, invece, sono deliberate, come la menzogna sulle armi di distruzione di massa in Iraq, che ha avuto conseguenze devastanti. Oggi, con i deepfake, chiunque può far dire a chiunque qualsiasi cosa per pochi euro, e il risultato è spaventosamente credibile. La vera arma contro la manipolazione digitale rimane la consapevolezza, rimane lo sviluppo di un senso critico”.
La partecipazione digitale. “I parlamenti delle democrazie rappresentative erano una soluzione logistica per quei grandi Paesi a quello stadio della tecnologia (non penserete che i rappresentanti siano migliori del popolo che rappresentano, vero?). Ma oggi? Ora abbiamo strumenti che permettono di partecipare in modo allargato. Dalle firme elettroniche per referendum e leggi di iniziativa popolare a più di 9mila comuni nel mondo che adottano i bilanci partecipativi (100mila persone decidono con gli strumenti digitali del 5% del bilancio di Parigi!). Quanti più strumenti di partecipazione esistono tanto più si rafforza la democrazia. L’intelligenza artificiale può riavvicinare i cittadini alla cosa pubblica, rendendo comprensibili temi complessi: in questo modo si permette di interpretare meglio il mondo e decidere come agire. Io lo vedo già con le aziende, si sta osservando un livellamento al rialzo delle capacità di comprensione e azione all’interno”.
Luddismo o disoccupazione tecnologica? “Con l’avanzare dell’intelligenza artificiale, il lavoro sta attraversando una trasformazione senza precedenti. Call center, ancora popolati da migliaia di operatori, credo spariranno in un anno. E i doppiatori? Anche loro vedono la loro professione minacciata dalla tecnologia, come dimostra lo sciopero di Hollywood dello scorso anno, scatenato proprio dalle preoccupazioni legate all’uso dell’IA nell’intrattenimento. Non si può sfuggire al cambiamento tecnologico: resistere significherebbe essere sopraffatti dai concorrenti che invece lo abbracciano. La vera questione è affrontare il nodo della redistribuzione della ricchezza prodotta da una produttività che crescerà a doppia cifra. Già dagli anni ’70, gli aumenti di produttività hanno favorito principalmente il capitale, lasciando indietro il lavoro. Ora più che mai, è fondamentale ridistribuire equamente i benefici dell’innovazione tecnologica. In questo scenario, l’Italia dovrebbe prendere esempio da paesi come la Svezia o la Corea del Sud, che investono pesantemente in ricerca e sviluppo. Spotify, nato in Svezia, o i gadget tecnologici di Samsung, figli dell’innovazione coreana, sono esempi di cosa può essere ottenuto investendo nel futuro. Prenderci un po’ dei 5 milioni dei nuovi posti di lavoro creati dall’Ai e perdere il meno possibile dei 300 milioni di disoccupati tecnologici”.
I sondaggi sintetici cosa cambieranno? “Promettono di rivoluzionare il nostro modo di raccogliere e analizzare le opinioni. Utilizzando gemelli digitali per ogni cluster demografico, questi sondaggi evolvono nel tempo, permettendo di interrogare modelli estremamente precisi e dettagliati. Il risultato? Un drastico abbattimento dei costi: dai 4-5 mila euro di un sondaggio tradizionale, si potrebbe arrivare a un centinaio di euro. Questo nuovo approccio cambierà radicalmente la strategia politica, di marketing e sociale. Se con Cambridge Analytica ci eravamo allarmati per la capacità di dividere la popolazione in 36 cluster e fornire messaggi personalizzati, oggi possiamo creare milioni di cluster e dialogare con ciascuno individualmente, adattando i contenuti in modo incredibilmente mirato e preciso”.
La democrazia ha bisogno di partecipazione. “In seguito alla crisi finanziaria del 2008, il governo islandese dopo il fallimento del Paese decise di coinvolgere 900 cittadini nella stesura di una nuova costituzione. Questo esperimento è un esempio di come la partecipazione nasca spesso da una crisi e da un’ammissione di colpa da parte delle istituzioni. Tuttavia, ciò che non dovrebbe mai accadere è che questa partecipazione venga vanificata. Il successivo parlamento islandese cestinò la costituzione proposta dai cittadini. Questo gesto rappresenta una delle cause profonde del crescente astensionismo nelle democrazie: l’impressione che la partecipazione popolare sia spesso ignorata o svuotata di significato”.