Antispecismo politico, la prospettiva del filosofo Marco Maurizi a San Benedetto

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Ha senso parlarne quando qualcuno di voi starà mangiando degli arrosticini?” provoca Elena Mazzoni, responsabile nazionale ambiente nel Partito della Rifondazione Comunista-Sinistra Europea. Anche se, in realtà, fa molto piacere vedere la presenza di tanti gustosi (li abbiamo provati!) piatti vegetariani e vegani fra le scelte in menu della Festa Rossa 2024 a San Benedetto del Tronto. Il tema della serata è l’antispecismo politico. Cioè? Partiamo con il termine ‘antispecismo’, che il dizionario Treccani ha inserito fra i neologismi nel 2019 definendolo come: “Pensiero, movimento, atteggiamento che, in opposizione allo specismo, si oppone alla convinzione, ritenuta pregiudiziale, secondo cui la specie umana sarebbe superiore alle altre specie animali e sostiene che l’essere umano non può disporre della vita e della libertà di esseri appartenenti a un’altra specie”. Un termine che personalmente ho conosciuto in Francia nel 2016, nel periodo di Nuit Debout (ne abbiamo parlato QUI) e con il bel libro di Aymeric Caron (‘Antispéciste: Réconcilier l’humain, l’animal, la nature’). A parlarne stavolta, con rara chiarezza, è Marco Maurizi, filosofo che si occupa di teoria critica della società con particolare riferimento ai temi della filosofia della storia e del rapporto natura/cultura; autore, tra gli altri, di ‘Antispecismo politico. Scritti sulla liberazione animale’.

Si parte da lontano. “L’animalismo è qualcosa antico come l’umanità. Ma è anche un termine molto vago, come un interessarsi alla sofferenza animale. Il cambiamento arriva negli anni ’70, in cui si articola la questione nei termini di che cosa causa e come si combatte la sofferenza animale, e come si pone l’essere umano rispetto alla questione animale. Peter Singer, filosofo australiano, nel suo libro ‘Animal Liberation’ (1975), sostiene che lo specismo è un pregiudizio morale ingiustificato, simile al razzismo e al sessismo. Esso si basa sull’idea che la specie a cui un individuo appartiene determini il suo valore morale. E come si giustifica tradizionalmente la superiorità degli esseri umani? Come già rilevato da Cartesio, gli animali non hanno un’anima. Sono macchine biologiche, automi che reagiscono agli stimoli senza consapevolezza o intenzionalità, senza linguaggio, senza pensiero razionale, senza possibilità di un agire morale”.

L’etologia ha messo sempre di più in crisi questa visione, “dimostrando le forme di linguaggio, capacità empatica e di cooperazione e addirittura l’esistenza di vere e proprie tradizioni culturali (sono stati documentati riti funebri, ad esempio). Questi risultati mettono seriamente in discussione l’idea di una netta separazione tra umani e animali, tanto che si inizia a parlare di animali umani e di animali non umani. Come ci ricorda il grane filosofo francese Jacques Derrida, non esiste l’Animale in generale, nient’altro che una categoria astratta e del tutto generica. Noi umani, che siamo così attaccati alla nostra unicità, non ci accorgiamo che vale lo stesso per ogni vivente. Nessuna presunta superiorità può giustificare la violenza e la sopraffazione. Anche se le differenze sono dati empirici evidenti, nessun animale ha costruito una bomba atomica o ha fondato un partito rivoluzionario!”.

La fondazione teorica. “Per Singer l’azione moralmente giusta, in ottica utilitaristica, è quella che minimizza la sofferenza e massimizza il benessere complessivo per tutti gli esseri senzienti (e gli animali umani e non umani lo sono, sebbene in modo differenziato). Gli esseri umani hanno progressivamente esteso (expanding circles) la loro sfera di considerazione morale, iniziando dal cerchio ristretto della famiglia e della tribù, per poi includere comunità più ampie, nazioni e, infine, tutti gli esseri umani. Singer sostiene che il prossimo passo è l’inclusione di tutti gli esseri senzienti, quindi anche gli animali non umani. Continuare a considerarli “altro”, dipende da una dinamica di potere che l’essere umano possiede su di loro. L’ottica di Singer è decisamente liberale e viene pensata in una fase storica in cui nel mondo occidentale si estendono progressivamente, nel Dopoguerra, diritti civili, politici e sociali (un momento bruscamente interrotto dall’arrivo al potere di Thatcher e Reagan). Nel suo grande rigore teorico, Singer sostiene che il valore morale di una vita non dipende dalla specie di appartenenza, ma dalla capacità di provare piacere e dolore. In questo senso, un essere umano con gravi disabilità cognitive potrebbe non avere una capacità di provare piacere e dolore paragonabile a quella di un gorilla adulto e sano”.

I diritti degli animali. “Tom Regan è il filosofo che, con un certo successo, parla di ‘diritti degli animali’: gli animali non umani, come gli esseri umani, sono ‘soggetti di una vita’. Anch’essi, infatti, hanno esperienze, desideri, credenze e progetti di vita. Sono esseri coscienti e senzienti, e quindi meritano di essere considerati come fini in sé stessi, non come meri mezzi per i fini umani. Sono titolari di diritti inalienabili. Quelli di Singer e Regan sono discorsi di ambito morale e hanno subito l’accusa di antropocentrismo: allarghiamo la sfera di considerazione morale a chi è più simile a noi, in virtù di questa somiglianza”.

L’animale è Altro. “Per il filosofo francese Emmanuel Lévinas, l’Altro è innanzitutto un volto che mi interpella, che esige una mia risposta etica. Derrida, a partire da qui, sottolinea come l’animale possa rappresentare un’alterità radicale, un totalmente Altro che sfugge a ogni categorizzazione e che mi mette in discussione. Occorre ribaltare, quindi, la prospettiva tradizionale, che ha sempre visto l’animale come un oggetto di studio o di dominio, riconoscendone la specificità. La prospettiva a cui guarda Maurizi, però, fa un passo ulteriore perché l’etica deriva da qualcos’altro“.

Capitalocene. “Per capire il perché della discriminazione verso gli animali, occorre analizzare le strutture di fondo che costituiscono la società: non è possibile in nessun altro modo. E la nostra è una società capitalistica. L’essere umano non è più il soggetto autonomo e sovrano dell’Illuminismo, ma un nodo all’interno di una vasta rete di relazioni di dipendenza. L’umanità non è una totalità omogenea e indistinta, occorre l’analisi della relazioni di potere e dei rapporti di capitale scaturiti da un preciso modello economico. E Karl Marx ritiene, al di là delle profonde articolazioni e differenze delle società, che c’è qualcosa in comune, qualcosa che non ci rende soggetti come singoli: non siamo liberi, non siamo completamente sotto il nostro controllo”.

Marx. Un filosofo che non si associa spesso a questioni come queste, mi viene subito da aggiungere, almeno finché il filosofo giapponese Kohei Saito non ne ha ribaltato l’interpretazione tradizionale. Il capitalismo non comporta solo lo sfruttamento degli umani ma anche della natura e, infatti, verso la fine della sua vita Marx rivendicò una società postcapitalistica sostenibile, che Saito ha definito ‘eco-socialismo’. E Maurizi, che fa parte dei GAP (gruppi di antispecismo politico, molto attivi online), tiene molto al loro lavoro di debunking, ovvero di vaglio critico dei luoghi comuni. E lo si deve fare di Marx, dalle varie deformazioni di oppositori e seguaci. “E, quindi, secondo Marx non siamo veramente liberi finché le relazioni di produzione capitalistiche dominano la nostra vita. La libertà individuale è illusoria perché le nostre scelte e opportunità sono limitate dalle condizioni socio-economiche che non abbiamo creato e che non possiamo controllare pienamente. Vendere la propria forza lavoro per sopravvivere, riducendo l’individuo a merce, in un sistema che sfrutta il lavoro e concentra il capitale nelle mani di pochi. Una libertà autentica può essere raggiunta solo attraverso la trasformazione radicale delle strutture economiche e sociali (da cui derivano tutte le altre, anche l’etica) che permetta una distribuzione equa delle risorse e una liberazione dal dominio del capitale: una democrazia radicale”.

@gruppo_antispecismo_politico

Vegano e antispecista? Chiede uno degli spettatori se questa equazione è possibile. “Il veganismo è uno stile di vita, una filosofia pratica, un’etica applicata alla vita di tutti i giorni che cerca di escludere, per quanto possibile e praticabile, ogni forma di sfruttamento e crudeltà nei confronti degli animali, sia essa legata alla produzione alimentare, di indumenti o a qualsiasi altro scopo. L’antispecismo politico guarda, invece, non il lato del consumo ma quello della produzione. Ovvero vuole affrontare in modo collettivo il nodo centrale dei rapporti di produzione, del modo in cui la società organizza e distribuisce assieme alla ricchezza anche il suo rapporto con la natura e, conseguentemente, la sua rappresentazione del mondo non-umano. Costruire una società egualitaria e solidale, in cui vengano superate tutte le forme tradizionali di discriminazione che il capitalismo non ha cancellato ma solo utilizzato ai propri fini. D’altronde, come ha detto Marx, Cartesio guarda la natura con gli occhi della manifattura: sulla base della società in cui vive. Pensiamo a cosa sarebbe una società diversa, l’immaginazione stessa va liberata: un’immaginazione che allarga i confini del possibile, questo è il compito del comunismo del XXI secolo.

Qui e ora. “Come suggeriva la New Left, occorre agire fin da subito. Cerchiamo fin da subito di arrivarci. Ma senza illuderci”.

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