Una serata senza grilli per la testa. O, meglio, un vero grillo in testa è quello che sul finale aveva il professor Franco Cardini, l’ospite della rassegna “Un mare di libri” a Porto San Giorgio (FM). Nessuno dei tanti accorsi a farsi autografare il suo libro, “La deriva dell’Occidente”, ha avuto per un po’ l’ardire di avvertire lo ieratico docente che aveva concluso un suo lungo intervento poco prima della scoccare della mezzanotte. Infatti, nonostante vari accenni di pioviggine e l’aria fresca, tanti hanno resistito fino all’ultimo non perdendosi neanche una parola dell’illustre storico 83enne. Alcuni, però, non hanno retto: “Ma questa è una lezione universitaria!”, borbottavano dietro di me a un certo punto. La migliore risposta era stata quella dell’assessore comunale alle Politiche giovanili, Marco Tombolini: “L’idea che guida la rassegna è quella di una cultura alta, non banalizzata, che possa permeare tutti gli strati della società nei diversi luoghi frequentati (le piazze in primis)”. Insomma, occorre sfidare i cittadini perché la cultura richiede impegno, sforzo, allenamento per cogliere l’’incanto’ (qui il riferimento è a QUESTO).
Perché, come nel mio caso, partire da Ascoli Piceno in una sera d’estate per arrivare nella pur splendida cornice di Rocca Tiepolo a tanti chilometri di distanza? Perché Franco Cardini, e non parlo solo da laureato in Storia, è uno dei più prestigiosi e importanti storici (ma direi in generale intellettuali) del nostro Paese. Ha insegnato Storia medievale a Bari, Firenze e Pisa, dove ora è professore emerito di Storia medievale nell’Istituto di Scienze Umane e Sociali (ora Scuola Normale di Pisa), Directeur de Recherches nell’École des Hautes Études en Sciences Sociales di Parigi, Fellow della Harvard University e membro del consiglio scientifico della Scuola Superiore di Scienze Storiche dell’Università degli Studi di San Marino. Collaboratore di diversi quotidiani nazionali, è un autore prolifico e di successo, i suoi libri sono stati tradotti in tutto il mondo. Specializzato nello studio del Medioevo, si è occupato soprattutto di crociate, pellegrinaggi e rapporti tra la cristianità e l’Islam. Ha ricevuto riconoscimenti e onorificenze di ogni genere.
“Il 15 luglio (che come ben sapete è in Francia il giorno dopo la festa nazionale, con annessi e connessi…) Fernand Braudel ci voleva a lezione alle 8,30 in punto…”. E qui il cuore di uno storico per un secondo si ferma. Cardini ci ha appena ricordato di essere allievo di una delle figure mitiche della storiografia del XX secolo. Come? Per farla breve, Braudel ha spostato l’attenzione dalla storia di breve durata, che si concentra sugli eventi e sulle figure individuali, alla storia di lunga durata, che studia i mutamenti lenti e strutturali, come il clima, la geografia, l’economia e le strutture sociali (con una grande enfasi sui dati quantitativi) e per questo non può che integrare varie discipline diverse. Questa distinzione ha permesso di comprendere meglio i processi storici su scala più ampia e di cogliere le connessioni tra eventi apparentemente separati e infatti la sua opera monumentale è “Il Mediterraneo”, inteso come un sistema complesso e interconnesso, con una propria storia e identità.
Per quale ragione citare Braudel? Per dire una cosa semplice, “il tempo della storia non è omogeneo”. E chi dice il contrario “non ha mai fatto l’amore e non è mai stato dal dentista”. E noi occidentali eravamo “convinti di essere padroni del mondo dopo il 1989 e il crollo del mondo sovietico, convinti di costituire una sorta di aristocrazia del genere umano. Eppure, il mondo sta cambiando mentre lo contempliamo, il mondo va verso qualcosa che ci fa paura. Le cose si stanno complicando giorno dopo giorno e noi ci sentiamo impreparati. Siamo chiamati a delle scelte”. E, con il suo eloquio placido e l’inflessione fiorentina, il professore ci accompagna in una lunga divagazione biografica: il suo rapporto con una sua ricercatrice specializzanda. “Le propongo di affrontare, a partire da un interessante volume che raccoglieva la visione degli studiosi cinesi sull’opera di Marco Polo nota come Il Milione. Lei capisce ben presto che deve conoscere le ricerche in cinese per portare avanti il progetto. Le rispondo che, per una giovane, imparare i 5.000 ideogrammi del cinese moderno richiede appena qualche anno (e lei attualmente è a 4.800). Sì, dobbiamo accettare le sfide del presente. Il mondo è una macchina complessa e dobbiamo accettare la sfida: non si può semplificare. Non ci si può mai fermare, ed è questo che vuol dire essere umani”.
Cosa volevano gli occidentali? “Guerre, povertà, malattia, ingiustizia sociale, fame, arretratezza. Pensavamo ormai che prove come quelle del passato, non ci avrebbero più toccato. In particolare, la guerra, ormai era soltanto un residuo ai margine del mondo. E noi? Beh, proponevamo modelli al resto del mondo, nell’ottica di aiutarlo. Una riflessione che era iniziata con la Gloriosa rivoluzione inglese del Seicento, proseguita con la rivoluzione americana e quella francese del Settecento: lo scopo di quell’area che chiamiamo ‘Occidente’, nell’opera della filosofia, della teologia, della letteratura, dell’attività pratica… era voler rimediare alla nostra insoddisfazione nello stare al mondo. La ricerca della felicità, codificata come diritto dalla Rivoluzione americana; radicata nella cultura greca, esaltata dal cristianesimo e poi dall’illuminismo: i padri pellegrini che hanno fondato la cultura americana volevano nel Nuovo Mondo recuperare l’originaria innocenza perduta dell’essere umano. Qualcosa di intimo e profondo: fare del bene a sé e agli altri”.
La cultura occidentale è concretezza. “Anzi, citando Massimo Cacciari direi una ‘metafisica della concretezza’. È essenzialmente un fare, un costruire, un conquistare… dare hegelianamente uno spirito alle cose concrete. La natura dell’homo occidentalis lo porta a impiegare masse sempre più grandi di materia, di ricchezze. E a fine Medioevo non lo fa più per le immediate necessità: si guarda intorno e l’Occidente stesso non basta più, sa che esistono altri mondi, e allora bisogna rompere i legami con il nostro orizzonte angusto. Inventiamo la velatura mobile, che per la prima volta permette di navigare anche controvento, e il cannone, con tutta l’artiglieria: questo il sistema che ci fa dominare la modernità. Il nostro ‘destino manifesto’ era questa dominazione”.
Un riassunto della storia universale. “Le culture si conoscono, si incontrano e si scontrano (se c’è qualcosa che vogliono entrambe). D’altronde Eraclìto, fra i primi filosofi, diceva che Pòlemos (cioè, la guerra) è padre di tutte le cose. Tutto si gioca nella dicotomia latina tra hostes e hospes (nemici e ospiti), mi piace anche l’etimologia di rivalis, cioè colui che prende l’acqua dallo stesso rivo in cui la prendo io. Ai conflitti si pone rimedio, perché si fa la guerra per fare la pace (e quindi lo sconfitto non deve essere reso troppo scontento). Il mondo antico e quello medievale sono stati a compartimenti stagni, ovvero sì con qualche sgocciolamento ma essenzialmente non si viaggiava. Viaggiavano, però, le cose in tutte le direzioni: le cosiddette vie della Seta. Attenzione, però, non c’era un mercante che andava da Damasco nell’attuale Siria a Xi’an in Cina: ogni carovana percorreva una trentina di chilometri al giorno e andava avanti per una settimana, dandosi poi il cambio con un’altra che percorreva la settimana successiva e così via. Ci si specializzava su un percorso. Ma le merci sono comunque ‘cose che parlano’, pensiamo solo ai libri. E poi non mancavano i racconti reciproci fra mercanti”.
Una delle meravigliose digressioni della serata, sulla nascita dell’università nell’Islam. Per darvi un esempio della straordinaria capacità narrativa di Cardini:“L’universitas studiorum era come una qualsiasi corporazione costituita da venditori (i ‘magistri’) o acquirenti (gli ‘scholarii’) e il sapere era come un bene che si scambia al mercato. Ora, nulla di tutto ciò somiglia alle istituzioni scolastiche greche o latine, che ignoravano un principio del genere – del resto inadatto alla loro organizzazione civile. Fu nella Baghdad califfale del IX sec. che una tale istituzione, detta Bayt al-Hykma (‘Casa della Sapienza’) vide la luce: dall’intuizione di un califfo che diede spazio a ciò che già avveniva spontaneamente nel bazar. Da lì il successo in tutto il mondo musulmano, fino ad arrivare ai monaci che stavano gestendo la Reconquista in Spagna: la Chiesa capisce subito e diffonderà, cercando di gestirlo, questo nuovo modo di trasmettere la cultura”.
La cultura è un flusso continuo che dall’Oriente segue il corso del sole fino all’Occidente. “Questo sosteneva Hegel, l’Occidente come sera della civiltà. Una sera che non conoscerà mai notte, lo stadio più maturo. Ma quanto può durare? La risposta che la cultura dell’Occidente non ha mai dato. Oggi la cultura occidentale è la koiné, è il basic English, insomma la base culturale comune (con sacche di resistenza, sicuramente) del mondo. Il progresso moderno è insegnato ovunque, ma al tempo stesso ci sono movimenti contrari. Francis Fukuyama aveva parlato della ‘fine della storia’ con la vittoria del liberalismo statunitense sul comunismo sovietico negli anni ’90: abbiamo finalmente trovato le strutture e le istituzioni migliori, bisogna solo gestirle al meglio (con queste stiamo risolvendo tutti i problemi del mondo: la povertà, le malattie, ecc.).
Il Faust e il destino dell’Occidente. “La natura umana mai sazia, questo intende significare Goethe, nel far dire a Mefistofele che niente dovrà mai soddisfare Faust. Così l’Occidente è condannato ai risultati continui, a vivere continuamente il superamento del limite. Ma, così, abbiamo sfruttato il mondo fino all’osso. Anche se gli abbiamo dato molto, ora che il resto del mondo è diventato simile a noi… reclama la sua fetta di torta. Abbiamo tentato col neocolonialismo di perpetuare il nostro dominio (pensiamo al franco CFA che ha dominato con la moneta le ex colonie francesi), in fenomeni in cui ci sono peraltro molte delle radici delle migrazioni di cui tanto parliamo. E gli Usa non sono ormai più una potenza con un distacco indiscutibile sugli altri. Eppure, un sistema pluralistico non si sta ancora formando. La Russia ha tentato di riprendere il territorio politicamente perduto ma, se il vecchio equilibro è rotto, il nuovo stenta a nascere. E questo colpisce la realtà occidentale. Questo Occidente – che è fatto da Usa, da tutta l’anglosfera e poi dall’Europa… – va alla deriva perché non riesce a cogliere le differenze (è diverso nel rapporto col religioso e nella sua tipologia, nella concezione dell’individualismo, ecc.) fra le sue componenti interne e a concepire un rapporto diverso col resto del mondo, pensiamo ai Brics. E lo spettro della guerra sta tornando”.
Non una conclusione, ma una transizione. “I libri, d’altronde, nascono già vecchi. Un grande storico, demografo, antropologo francese come Emmanuel Todd ha fatto uscire, e sta per arrivare in libreria la versione italiana per Fazi editore, un libro migliore, dal taglio più fenomenologico rispetto al mio. Se ve ne devo consigliare uno, leggete quello! Che stasera, comunque, non ho voluto parlare del mio libro”.