Trans, la scoperta di un’identità nella testimonianza di un nostro lettore

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Da quando ho realizzato la mia identità di uomo trans, ho avviato un percorso di esplorazione personale che ancora oggi non è concluso ma che sicuramente ha preso una piega molto positiva e che mi dà la possibilità di poter raccontare la mia esperienza, l’accettazione di me stesso, cercando di vivere un’identità sociale così complessa e delicata nel modo più tranquillo possibile, ricordando che la ricerca interiore di quello che siamo veramente dovrebbe essere sì qualcosa di difficile ma sicuramente bellissimo. 

Cominciai ad identificarmi come ragazzo trans, scoprendo effettivamente cosa volesse dire, verso i 13 anni dopo avendone vissuti già molti chiedendomi come poter chiamare ciò che sentivo. Mi avvicinai quindi alla comunità LGBTQ+ (soprattutto attraverso internet) con la possibilità di ascoltare diverse storie ed esperienze di persone simili a me. Ciò mi regalò per la prima volta un senso di appartenenza, facendomi sentire meno solo.

Contemporaneamente iniziai a confrontarmi con nuovi contesti come le medie e il liceo. Realizzai ben presto che mi aspettava un arduo percorso di scoperta di me stesso, del mio corpo e dei rapporti interpersonali; in generale un’adolescenza molto diversa dalla maggior parte dei miei coetanei. 

Stare a contatto con un ambiente basato completamente sul binarismo di genere portò la  percezione di me stesso, del mio comportamento e del mio genere ad essere plasmata da modelli che non sentivo veramente miei, ma che lasciavo che influenzassero la mia identità. Ho costruito uno scudo, rinunciando a una parte significativa della mia personalità come meccanismo di sopravvivenza sociale, cercando di evitare di essere visto come un individuo scomodo da isolare. Non avrei mai voluto essere un elemento di fastidio, dato che già la spiegazione di voler avere un nome diverso da quello di nascita o in generale della mia identità creava confusione e perplessità.

Quindi, per sembrare la persona trans più ‘accettabile’ ho iniziato a conformarmi completamente ai comportamenti considerati tipici dei ragazzi cis, anche se ciò significava arrivare ad apparire freddo e quasi apatico. Non che mi dispiacesse visto che per alcuni aspetti mi faceva sentire a mio agio e affermato ma senza la possibilità di andare oltre e di esplorare completamente la mia persona.

Invece di esprimermi nel modo che più mi piaceva, analizzavo compulsivamente  le mie azioni per non sfociare in tutto quello che mi potesse associare al genere femminile. Evitavo di avere o indossare qualsiasi cosa fosse rosa, il trucco, il solo gesto di accavallare le gambe mi provocava disagio. Sparivo e mi conformavo a un’idea, a un canone; sentivo la pressione di adattarmi a un’immagine stereotipata di ciò che dovrebbe essere un ‘vero uomo’, un ‘vero uomo trans’. La società, e perfino talvolta la mia stessa comunità, sembravano sempre attenersi a modelli rigidi, stabilendo criteri su come una persona con una certa etichetta dovrebbe presentarsi, cercando di racchiudere tutto in uno schema preesistente, adattando l’espressione di genere e il comportamento di un individuo secondo standard che possono non rispecchiare pienamente chi è ma che consentono di adeguarsi a una società eterocis. 

Nessuno vuole attorno una persona che è già difficile da comprendere, di base, e che esce ancora di più dall’idea normale di questa ‘anormalità’. (esempio?) La demonizzazione dei corpi transgender è un argomento che ha costituito un ostacolo significativo nel mio percorso, contribuendo ad anni di rifiuto del mio aspetto. 

Il percorso di una persona trans è spesso rappresentato come step mirati a ottenere tutte le caratteristiche di una persona cis per vivere finalmente una vita a proprio agio con il corpo e con la società. Ciò non toglie che tutta l’esperienza e l’aspetto che può essere definito “pre-transizione” debbano essere descritti completamente in chiave negativa dove la vita è limitata dal peso della disforia di genere. 

Personalmente anche io ero soffocato da questo enorme sentimento di inadeguatezza sia a livello di aspetto fisico sia a livello sociale. Da quando ho approfondito veramente la questione, mi sono sentito sempre di più a mio agio: sono certo che amerò ancora di più il mio corpo una volta avviata la terapia ormonale ma, nel mentre, voglio imparare comunque ad apprezzare ciò che ho e che sono anche in questo momento della mia vita, non sentendomi sbagliato o addirittura ‘non abbastanza trans’.

Non esiste nessun corpo transgender e non, che è valido soltanto se rispetta certi requisiti. Per questo adesso, spesso preferisco prendere le distanze da spiegazioni semplici, create proprio per la società eterocis; definizioni che mi vedono come “nato nel corpo sbagliato”. Non credo che il mio corpo sia sbagliato: piuttosto, penso che stia vivendo un percorso unico rispetto agli altri.

Oggi, dopo un processo di maturazione interiore, cerco di abbracciare la mia identità senza rinunce e senza adottare modelli che non rispecchino veramente chi sono. Accetto il mio percorso unico, consapevole che la diversità delle esperienze transgender va al di là di definizioni limitanti. In questo modo, posso finalmente sentirmi a mio agio nella mia autenticità, abbracciando la mia esperienza speciale.

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