Foibe, grazie agli studenti la libertà riesce a vincere: l’incontro con Eric Gobetti

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La partecipazione a una lezione di storia può diventare un atto di protesta? Stavolta sì, o almeno così è sembrato capitare ad Ascoli Piceno. La città di cui sono originaria, anche se ora studio filosofia a Macerata. La programmazione culturale cittadina non mi soddisfa mai troppo, ma stavolta proprio il giorno in cui tornavo in città vedo che c’è nientemeno che Eric Gobetti. Uno studioso molto noto di Fascismo, Seconda guerra mondiale, Resistenza e Jugoslavia nel Novecento. Esperto in divulgazione storica e politiche della memoria, fra le sue numerose monografia si possono ricordare le ultime due: E allora le foibe? (2021) e I carnefici del Duce (2023). A invitarlo l’ISML (Istituto Provinciale di Storia per il Movimento di Liberazione nelle Marche e dell’Età Contemporanea) come avvio di un ciclo di “Incontri con la storia” e, in questo caso, a partecipare dovevano essere le classi del liceo “Stabili-Trebbiani”, in cui ho studiato anch’io.

Il problema? Un improvviso ‘cambio di programma’. Riprendendo le parole che poi Eric ha pubblicato sul suo profilo Facebook: “Oggi è successa una cosa incredibile. Un centinaio di studentesse (e studenti, ma oggi parleremo solo al femminile, per una volta, sfidando anche il patriarcato linguistico) del liceo di Ascoli hanno disobbedito all’ordine del preside, che ieri gli aveva proibito di partecipare a una conferenza organizzata da tempo. Hanno semplicemente dichiarato sciopero e si sono stamattina presentate in aula da libere cittadine. Molte compagne le hanno seguite, anche di altre classi, alcune addirittura sfidando il preside che faceva scudo col proprio corpo per impedirgli di lasciare la scuola!”.

Effettivamente, l’aria che si respirava era rivoluzionaria. Nella Sala Gulino della Cartiera Papale di Ascoli Piceno ho trovato un centinaio di studenti e studentesse, oltre ad alcuni docenti in sciopero (senza contare le classi collegate online), che volevano affermato un principio. “Siamo esseri pensanti, con il nostro giudizio critico!”. Se non fossimo in un momento buio per la scuola italiana e per gli studenti italiani… sarebbe scattata un’occupazione, credo.

Ma cos’era successo? La destra ascolana era nel frattempo insorta. Inizia la leghista Giorgia Latini: “Auspico non sia vero e sono certa che non ci sarà alcun incontro nel corso dell’orario scolastico e mi auguro nemmeno in orario extra curriculareUn negazionista delle foibe che incontra i giovani delle scuole rappresenterebbe un episodio di gravità inaudita. Come vicepresidente della commissione Cultura, Scienza e Istruzione della Camera dei Deputati non posso non condannare una tale eventualità”. E ancora: “Ritengo grave oltretutto che nelle scuole si possa fare indottrinamento con testi che negano la tragedia storica. Basta con il negazionismo. Chiediamo rispetto. L’incontro con gli studenti costituirebbe un’assurdità”. Ma poteva mancare CasaPound? Ecco il responsabile Marche, Giorgio Ferretti: “È inaccettabile che un personaggio come Gobetti, fortemente politicizzato, ritratto con la maglietta che inneggia al Maresciallo Tito, si presenti ancora nelle scuole per diffondere una versione della storia che nulla ha a che vedere con i fatti storici realmente accaduti”. Vi risparmio le altre prese di posizione.

A quel punto accade qualcosa: “L’evento è stato organizzato dopo mesi di meticolosa preparazione, con l’approvazione dei consigli di classe, del Dirigente Scolastico e degli studenti stessi, i quali hanno dimostrato grande passione nell’analizzare i testi proposti, preparandosi con un approccio critico all’incontro con l’autore – ricorda l’ISML. Vogliamo sottolineare che in nessun momento sono state promosse ideologie revisioniste o di parte in relazione alla complessa storia del confine adriatico-orientale italiano nel contesto della Seconda Guerra Mondiale e del dopoguerra. Ciò sarebbe stato evidente a chiunque avesse approfondito i materiali di studio e compreso lo scopo dell’incontro”.

Chi ha davvero letto il libro? Da quello che credo di aver appreso… l’hanno fatto di sicuro soltanto gli studenti (e i loro docenti). E allora, cosa si è detto all’incontro? Di seguito quello che ricordo.

Cominciando con la questione delle questioni: il presunto NEGAZIONISMO. Un termine dispregiativo nato in relazione a chi nega l’evidenza storica della Shoah. Rispetto alle foibe, il termine viene usato in senso capovolto: gli storici accusati di negazionismo sono proprio quegli esperti che hanno lavorato per ricostruire seriamente gli eventi sulla base di fonti attendibili e verificabili, mentre chi li accusa nega il contesto in cui sono avvenuti, ignorando la società multinazionale di quei territori, le violenze fasciste, le repressioni dell’esercito italiano, le stragi naziste, e concentrando l’attenzione solo su alcuni episodi di violenza spesso narrati sulla base di testimonianze di seconda o terza mano che, a livello storico, sono inaccettabili. “Io non porto verità assolute, ma il mio libro è frutto di vent’anno di ricerca con puro metodo storico“.

Le “FOIBE” sono due momenti distinti di violenza contro persone inermi.

Il primo avviene nel 1943, dopo l’armistizio dell’8 settembre, nella parte interna dell’Istria. E non avviene affatto, come spesso lo si fa passare, nel vuoto. Si tratta di una situazione di vuoto di potere a causa dell’improvvisa scomparsa dello Stato e dell’esercito italiani, che le bande partigiane jugoslave cercano di colmare. Partigiani e popolazione approfittano del momento per vendicare i torti subiti in precedenza: 20 anni di oppressione fascista contro le popolazioni slave, con il tentativo di cancellazione culturale della componente slovena e croata, e 2 anni e mezzo di occupazione militare, con veri e propri crimini di guerra commessi anche in questo territorio. Le vittime non sono dunque ‘gli italiani in quanto tali’, ma coloro che sono ritenuti responsabili delle violenze precedenti, ovvero in sostanza i funzionari pubblici dello Stato fascista (che nei paesi significa poi presidi, impiegati comunali o delle poste…) e l’élite economica e sociale (grandi proprietari terrieri, dirigenti d’azienda…). Sono circa 400-500 persone, quasi tutti uomini adulti di nazionalità italiana, perché erano loro ad aver detenuto il potere.

La seconda fase di violenza è parte della globale resa dei conti che avviene nel 1945 al termine della guerra, in tutta Europa. Qui le vittime (circa 3.500-4.000, provenienti da tutta l’area di confine) sono soprattutto militari e funzionari fascisti che erano rimasti con i tedeschi fino alla fine in quella lotta fra l’ideologia nazista, che stava commettendo crimini contro l’umanità, e l’alleanza di tutte le altre ideologie contro di essa. In questo caso avvengono molti giudizi sommari con relative condanne a morte, tanti altri sono invece detenuti nei campi di prigionia, dove si muore spesso di stenti ed epidemie. Sia la giustizia sommaria che i campi di prigionia sono fenomeni comuni a tutta l’Europa, e anche al resto d’Italia. L’unica peculiarità è data dal fatto che fra le vittime ci sono anche alcune decine di possibili oppositori del nuovo regime che si sta costituendo (jugoslavo, ma anche comunista): italiani, ma anche sloveni e croati.

Una tragica caccia agli avversari politici, presunti o reali, perciò ma non una PULIZIA ETNICA programmata come in molti l’hanno definita. Nello stesso periodo saranno 10mila gli sloveni, collaborazionisti o presunti tali, e 60mila i croati, uccisi nei territori liberati dai partigiani jugoslavi, nelle cui fila combattevano anche migliaia di italiani.

Per quanto riguarda l’ESODO, sarebbero circa 300mila espatriati nell’arco di 15 anni (1941-1956) e lo fanno perché spesso l’Italia offriva maggiori possibilità. Non era stata infatti approvata una legge per l’espulsione (come nel caso dei tedeschi, che prima vennero imprigionati in campi di concentramento). Fra queste persone, inoltre, gli studiosi distinguono circa 190.000 italiani ‘autoctoni’ e altri 60mila italiani immigrati durante il Ventennio, molti dei quali dunque residenti nell’area da pochi anni. Spostamenti di popolazione a cui si devono aggiungere almeno 50mila croati, sloveni e appartenenti ad altre minoranze.

Concludo con le parole di Eric, di fronte a così tanta partecipazione. A uno sciopero così difficoltosamente organizzato: “Abbiamo parlato tanto, questa mattina, di storia, di uso propagandistico della storia, ma anche di come reagire all’autoritarismo dilagante. Non sappiamo come e cosa fare, dobbiamo trovare insieme nuovi strumenti di lotta, in questa battaglia culturale che tante volte mi è apparsa senza speranze. Ma oggi mi sono sentito meno solo, più forte e fiducioso. Avrei voluto abbracciarvi tutte, una per una, perché avete dimostrato un coraggio che ben pochi adulti hanno.
Senza spirito critico, senza discussione, senza dissenso e voglia di cambiamento, una comunità muore. Voi siete la vita. E oggi l’avete dimostrato. Grazie
“.

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