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Il “Chievo” della Riviera

C’era una volta il Chievo… Potremmo farla cominciare così l’irriverente favola della squadra di quartiere che aveva avuto la sfrontatezza di andare ad infastidire i grandi club nazionali.

Adesso che il Chievo ha forato, e la favola è finita, sono curioso di sentire quello che diranno e scriveranno gli “esperti” dell’acqua calda, che loro lo sapevano dall’inizio, che non avevano mai preso sul serio i Puffi Gialli anche quando, con la faccia di bronzo, ripetevano compunti che il “Chievo era una realtà”, come se l’Ascoli o il Lecce fossero “una fantasia”.

Invece oggi sembra che nessuno ci abbia mai creduto, perché se quella pericolosa favola dei bambini buoni che battevano quelli cattivi fosse arrivata fino in fondo tutti avrebbero fatto quello che i poeti castigliani più raffinati chiamano “una figura de mierda”. Le tv avrebbero avuto meno “audience”, perché il “piccolo” non fa pubblico, i giornali avrebbero venduto di meno, perché sono le grandi città a fare tiratura.

Eppure nel solco tracciato dal Chievo ci si sono infilati in tanti, in una sorta di domino senza fine, copiandosi a vicenda. Come il Porto d’Ascoli che, approdato per la prima volta in serie D, si sta comportando come un veterano. Ma i suoi risultati non sono né un miracolo né una favola. Sono il frutto di una lunga fatica, di un impegno di decenni, del contributo collettivo di un team di persone appassionate e competenti, di uno stile. 

Sono passati cinque mesi dalla finale di Jesi, e in questi cinque mesi il Porto d’Ascoli si è rimodellato per il salto di categoria pur restando con i piedi ben piantati in terra, cosciente che una serie superiore è sempre un ostacolo duro per i neo promossi tanto che spesso si fa appena in tempo a respirarne l’aria che subito si viene ributtati indietro.

Non è il caso del Porto d’Ascoli che viaggia con il vento in poppa, ancora sulle ali dell’entusiasmo della vittoria sul Fossombronese schiacciasassi tanto che per i bookmakers non c’era partita. Oggi, dopo la metà del campionato alle spalle, nessuno si azzarda a sottovalutare la squadra bianco-azzurra, diventata per qualche giorno la prima squadra sambenedettese, quando la Samb sembrava dovesse ripartire dall’eccellenza. Come il Chievo, (ecco che torna ancora la squadra veronese) quando militava in A mentre i cugini dell’Hellas giocavano tra i dilettanti.

Una volta il derby era Samb-Ascoli, adesso è tutto cittadino, con il Porto d’Ascoli che ha messo un abisso tra se e i rossoblù, ancora alla ricerca di una identità. Non c’è la rivalità che c’è con l’Ascoli, ma qualcuno sta provando a metterci lo zampino, infastidito forse che la piccola squadra di un quartiere periferico, possa permettersi di scavalcare la squadra che in altri tempi è stata la regina del calcio marchigiano.

Penso al Riviera delle Palme che non era stato concesso per le partite casalinghe dei bianco-azzurri in attesa della sistemazione del Ciarrocchi; penso al Premio cittadino “Gran Pavese” che, nel giro di pochi giorni, ha prima visto la candidatura del Porto d’Ascoli, poi ritirata per “non creare dissapori e disparità con la Sambenedettese”. 

Sembra proprio che la polemica debba insinuarsi per forza, perché a qualcuno dà fastidio riconoscere i meriti di una Squadra dilettantistica di periferia, che sta facendo qualcosa di straordinario.

Da inguaribile romantico – ha detto il presidente Massi – non mi resta che confidare nella favola del Brutto Anatroccolo!”

Oreste Silipo

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