E improvvisamente, et voilà: ecco riapparire la “Ferrovia Salaria o dei due mari”. Il sogno irrealizzato e irrealizzabile della politica ascolana. Come le apparizioni mariane, come gli avvistamenti di strani oggetti volanti in cielo (non sai quando, non sai perché, ma tutto d’un tratto ricompaiono), anche la Ferrovia della Salaria potrebbe essere ascritta al rango di fenomeni inspiegabili e misteriosi. Nessuno l’ha mai vista realmente, nessuno ci si è imbattuto raggiungendo Roma, ma da quasi due secoli è sulla bocca di tutti gli ascolani: come fosse una buona conoscente, di cui ogni tanto si perdono le tracce, ma che poi torna a farsi viva; come fosse quel Godot tanto atteso, ma mai arrivato.
IL 1841 E IL PRIMO PROGETTO DELL’ARCHITETTO MARINI
E allora parliamone, discutiamone, serve a far vedere che anche noi ascolani ambiamo alla gloria delle mega opere, dei maxi progetti. Tanto lo sappiamo bene che, così come è ricomparsa, la nostra cara Ferrovia poi sparirà. Accade dal 1841, da quando cioè un architetto sambenedettese (Marini) realizzò il primo progetto: c’erano ancora i borboni e c’era lo stato pontificio, di cui Ascoli faceva parte, e l’unica ferrovia esistente era la Napoli-Portici (1839). Naturalmente il progetto rivierasco fu subito archiviato per via dell’internazionalità dell’opera (Stato Pontificio-Stato Borbonico) e, così, la Ferrovia sparì. Per la prima volta. Per ricomparire vent’anni dopo. Per pochissimo tempo però, perché neppure l’Unità d’Italia (1861) fu propizia alla “Ferrovia dei due mari”: troppa la concorrenza abruzzese e umbra alla rincorsa alla strada ferrata.
IL DEBOLE TENTATIVO DURANTE IL PERIODO FASCISTA
Superato il Risorgimento coi suoi moti rivoluzionari, dimenticati Mazzini e Garibaldi, la Ferrovia attese il periodo fascista per riapparire di nuovo agli ascolani e ai reatini (altra popolazione colpita dalle misteriose e periodiche visioni di binari, locomotive e vagoni). Ma anche in questo caso binari e vagoni si materializzarono e smaterializzarono rapidamente: il tempo di far organizzare qualche convegno, qualche incontro, qualche discorso pubblico pomposo di questo o quel podestà, far riempire pagine e pagine di giornali, far discutere ascolani e reatini, et voilà, sparire di nuovo, questa volta al grido “ragazzi non c’è una lira”. Morto il fascismo, finito a testa in giù Mussolini, la nuova politica antifascista rigenerò subito quel fenomeno tanto caro alle popolazioni ascolane e reatine: la riapparizione della strada ferrata, tra politici piceni e sabini in processione a Roma alla ricerca di aiuti governativi ed improbabili finanziamenti pubblici.
IL PROGETTO NATO E SUBITO TRAMONTATO IN PIENO GOVERNO BERLUSCONI II (CORREVA L’ANNO 2002)
Apparizioni e sparizioni. La Ferrovia dei due mari ci riserva questo simpatico fenomeno da ben 180 anni. Ma è nel 2000, con l’arrivo del nuovo secolo e, in particolare, del nuovo millennio che le apparizioni diventano più frequenti e di più lunga durata. Soprattutto durante il governo Berlusconi II (Forza Italia-Alleanza Nazionale-Lega), quando per il tratto Rieti-Passo Corese (quello cioè che interessa solo l’area del Reatino) fu approvato il progetto (correva l’anno 2002): finalmente, da una fugace visione, la “Ferrovia dei due mari” sembrò destinata a trasformarsi in una durevole realtà. Anche in questo caso, però, per poco tempo. Quello necessario per scoprire che il governo aveva destinato all’opera appena cinque milioni di euro contro i 792 milioni previsti per la sua realizzazione, di assistere alla protesta di un movimento ambientalista sabino che denunciava la distruzione del territorio e il rischio prosciugamento per alcune sorgenti provocato dall’eventuale costruzione di nuove gallerie, ed ecco giungere, puntuale, la sua sparizione. Stesso destino, ovviamente, per il tratto Ascolano (Ascoli-Antrodoco).
INTANTO MENTRE LA FERROVIA RIMANE SUGGESTIONE E FANTASIA, I PROBLEMI AD ASCOLI CRESCONO
Ma per la nostra cara Ferrovia la voglia di farsi rivedere è più forte di ogni fallimento. E allora eccola riapparire. Stavolta in piena pandemia. Proprio quando, intimoriti dal covid e terrorizzati dall’ormai ventennale problema del posto di lavoro che non c’è, gli ascolani stavano iniziando a sentire forte l’esigenza di viaggiare con la fantasia. E di vedersi seduti in carrozza alla stazione Termini. Così, messi da parte tutti i problemi cittadini: lo spopolamento (46.647 abitanti nel capoluogo, 47.555 a San Benedetto del Tronto), le scuole ancora a rischio sismico o, addirittura, chiuse causa terremoto come la media di Monticelli, i lavori in corso Trieste fermi, le tariffe orarie della sosta costosissime (1,7 euro l’ora in centro), l’università ormai fantasma (appena 1185 studenti iscritti a giugno 2020 ad Ascoli, contro, addirittura, i 1191 di San Benedetto), la disoccupazione record (il 10,5% è iscritto alle liste dell’ufficio per l’impiego e il 30% è inattivo, cioè il lavoro non ce l’ha e nemmeno se lo cerca più), la fuga dei giovani all’estero in cerca di un impiego (709 ascolani emigrati oltre confine in 6 anni, dal 2013 al 2019, ovvero 118 l’anno: ed eravamo in periodo pre-pandemia), un turismo inesistente (la città delle cento torri, con appena 53.972 presenze nel 2020, ultima in classifica tra i capoluoghi di provincia marchigiani), e lo stillicidio di chiusure di attività economiche, gli ascolani si sono subito tuffati nel loro passatempo preferito: l’apparizione della nuova “Ferrovia dei due mari”. Proprio come facevano i loro padri e, ancora prima, i loro nonni. E allora, giornali locali in mano e siti informativi online collegati, eccoli lì gli ascolani, seduti e concentrati a cercare l’ultima notizia diffusa da questo o quel politico sugli imminenti sviluppi dello sblocco dell’opera: dalla realizzazione del progetto, all’arrivo dei soldi necessari (per Ascoli e Rieti 1 miliardo e mezzo di euro?), dall’approvazione, ma solo in commissione parlamentare, di uno stanziamento di 40milioni di euro per ipotetici piani ed eventuali studi di fattibilità, fino alla data “marziana” dell’inizio dei lavori. Ma era tutta una visione, la solita dal 1841 ad oggi. Però per qualche mese non s’è parlato d’altro: solo di treni e stazioni. E non dei problemi delle scuole, dei parcheggi troppo cari, dell’università vuota, del turismo ancora da far decollare, dei negozi chiusi, e, soprattutto, del lavoro che manca.