San Benedetto, Fabio Zuffanti racconta Battiato

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Franco Battiato è uno dei più grandi compositori d’Italia. La sua figura merita di svettare insieme a immortali del passato come Giuseppe Verdi, Giacomo Puccini, Antonio Vivaldi. Pensate a melodie come quelle de ‘La stagione dell’amore o ‘La cura’, può sembrare strano dirlo, perché è un contemporaneo, ma non hanno nulla da invidiare alla classica”. A sostenerlo è Fabio Zuffanti, ospite della rassegna “Incontri con l’Autore 40° edizione estate”, de I Luoghi della Scrittura e la libreria Libri ed Eventi, a cura di Mimmo Minuto con il sostegno di Comune di San Benedetto e Regione Marche. L’occasione è la presentazione del libro “Segnali di vita. La biografia de ‘La voce del padrone’ di Franco Battiato”; a conversare con l’autore Silvio Venieri.

FRANCO BATTIATO –Battiato è anche uno dei più grandi divulgatori di cultura che il nostro paese ricordi, e ciò grazie al semplice uso di canzoni, che spesso non arrivano a cinque minuti di durata, e all’enorme capacità di condensare alto e basso, di mischiare profumi provenienti da terre vicine e lontane, di citare il più infimo programma televisivo insieme alle più alte opere filosofiche, mistiche e religiose, di divagare sull’esoterismo, di mescolare pop, rock, cantautorato, elettronica, dance, opera, musica classica e psichedelia. Per più di cinquant’anni una figura unica nel panorama artistico italiano per il suo impavido muoversi tra il pop e la ricerca più ardita, fino a esplorare il mondo dell’opera, della pittura e del cinema. Ogni passo che ha è peculiare per coraggio, originalità, intraprendenza e forza di volontà”.

Fabio Zuffanti

L’INCONTRO CHE TI CAMBIA LA VITA – “Quando ho scoperto Battiato, avevo 13 anni. L’ho fatto con l’album “La voce del padrone”. Secondo me, è il disco perfetto del pop italiano. Lo ascoltiamo e riascoltiamo dal 1982: mantiene intatta la sua freschezza. Sembra uscito ieri, anzi domani! Questo non vuol dire che tutti abbiano fatto tesoro del suo insegnamento, qualcuno l’ha fatto, come Morgan con i Bluvertigo (che Battiato ha a lungo considerato come il suo figlioccio), Max Gazzè, o i Baustelle. Si tratta di una musica che non si accontenta della semplice canzone pop, ma va oltre. Con questo album ho imparato ad amare visceralmente la musica e a pormi molte domande su ciò che Battiato voleva comunicare e su quanto ci fosse da imparare grazie a lui. Fino a cambiarmi la vita”.

L’AUTORE – Fabio Zuffanti ha iniziato la sua carriera musicale nel 1994 e da quel momento è stato coinvolto nella realizzazione di quasi cinquanta album, come solista e con band quali Finisterre, La Maschera Di Cera, Höstsonaten, Rohmer, laZona, Aries, La Curva Di Lesmo, L’Ombra Della Sera, Quadraphonic, R.u.g.h.e. Dal 2012 porta inoltre avanti una parallela attività letteraria pubblicando saggi, raccolte di poesie, racconti e romanzi e scrivendo per testate quali La Stampa e Rolling Stone Italia, Ondarock, Rockol e altre. Studioso del percorso artistico e umano di Franco Battiato, ha dedicato al musicista siciliano una serie di saggi. L’amore a 360 gradi per la musica lo ha portato a misurarsi con svariati generi: prog, elettronica, pop, folk, jazz, classica, cantautorato, psichedelia, postrock, industrial, dark-gothic. Si è esibito dal vivo in molti paesi europei, negli Usa, in Canada e Messico. Lavora inoltre qualità di produttore artistico, divulgatore musicale, conduttore di trasmissioni radio e tv e organizzatore del festival annuale Z-Fest.

IL FASCINO VARIEGATO –Andate ad ascoltare “Foetus”, il suo primo album di musica elettronica! Come può essere lo stesso artista che canta Cuccurucucu quello che dieci anni prima mi cantava quelle cose allucinanti e allucinate. Questo ha stimolato in me questa ammirazione per un personaggio che sa cambiare, che sa mettersi in gioco e che anzi sa scriverle le regole del gioco. Mi ha ispirato in tutto: come musicista, come scrittore sempre alla ricerca. Quelle di Battiato non erano semplici canzoni, ma qualcosa che può avvicinarti all’Assoluto. Da ragazzino mi ha impressionato, aprendomi orizzonti sconfinati. La sua musica è una musica a strati: belle melodie, testi un po’ strani; ma se si va a scavare, l’ascoltatore predisposto capirà che ci sono suoni, riferimenti che rientrano in una magia che apparentemente non  capisci ma poi ti prende. Il suo enciclopedismo colto e raffinato non è rivolto a un ristretto gruppo di eletti ma è accessibile a tutti. Con il successo de ‘La voce del padrone’, l’Italia intera cantava queste cose… certo non tutti ne sono andati ad approfondire i riferimenti ma di certo ha colpito l’immaginario”.

GLI INIZI –Battiato ha un rapporto piuttosto ambivalente con l’idea di successo. Nato nel 1945 in un piccolo paese siciliano, parte quando ha solo 19 anni e va a Milano: senza nessun aggancio, vuol diventare un cantante di successo. Fa la sua gavetta, fa anche la sua bella fame. A un certo punto conosce Gaber che lo aiuta a registrare i suoi primi dischi e ottiene un discreto successo nel 1968 con il brano ‘È l’amore’. Si tratta di una canzone leggera, sanremese. Di lì a poco si stufa di questo successo appena sfiorato e si fa affascinare dal pop rock americano, i Pink Floyd, i Rolling Stones, i Beatles, Jimi Hendrix. Si butta nella musica sperimentale, la musica elettronica e dopo un paio di dischi arriva in classifica con l’album ‘Pollution’: di nuovo il successo”.

VERSO LA VOCE DEL PADRONE – “Di nuovo in crisi, non si sentiva rappresentato in ciò che era. Si avvicina allora alla meditazione, alla spiritualità. Diventa un Battiato introverso, che fa in pratica dischi solo per sé. Nel 1975, in piena musica sperimentale, dice al suo impresario Maurizio Salvadori: ‘Io mi voglio buttare in questo genere di musica, ma quando deciderò di avere successo farò un disco che venderà come nessun altro prima’. Questo succederà con il ritorno al pop a fine anni ’70, con l’album ‘L’era del cinghiale bianco’ e soprattutto con ‘La voce del padrone’. Il primo disco che in Italia vende più di un milione di copie, per diciotto settimane è primo in classifica. Ma già l’anno dopo si è stufato. E infatti il successivo, ‘L’arca di Noè’, è un disco molto diverso”.

GURDJIEFF – “È il pensiero di questo filosofo, scrittore, mistico e musicista maestro di danze armeno a spingere Battiato a superare sé stesso. In effetti gli anni ’70 sono per lui costellati da diverse crisi, quasi all’orlo del suicidio. Riesce a uscirne grazie alla spiritualità e alla meditazione, ispirato soprattutto da Gurdjieff. Da quel momento c’è un Battiato rinnovato. Innamorato com’era di questo personaggio, vuol farlo conoscere al suo pubblico tramite la musica. Ecco che il titolo ‘ La voce del padrone’ non è che uno dei temi della filosofia di Gurdjieff: noi potremmo concepire la nostra esistenza come una carrozza trainata da un cavallo; il cavallo sono le nostre emozioni, il cocchiere la nostra parte razionale e noi siamo nella carrozza e dobbiamo mediare tra i due. E dobbiamo farlo con la nostra voce. Più la nostra voce sarà imperiosa – più sarà una voce del padrone di questo mezzo – più potremo godere di una vita armonica”.

I MUSICISTI –Battiato aveva un grande gusto nella scelta dei musicisti. In realtà quello che faceva era molto semplice. Si metteva a casa sua col pianoforte e con la chitarra; buttava giù gli scheletri delle canzoni, ovvero gli accordi e la melodia. Poi andava a casa di Giusto Pio (maestro di violino, all’epoca nell’orchestra di musica sinfonica della Rai): lui ascoltava e lo aiutava a vestire la canzoni degli arrangiamenti mutuati dalla musica classica. Una volta fatto, andava a registrare coi migliori musicisti, nello studio di Alberto Radius. Tutto è essenziale ne ‘La voce del padrone’, un album a metà tra l’impegno degli anni ’70 e la leggerezza (che poi sarebbe scaduta in faciloneria) degli anni ‘80”.

I VIDEOCLIP E LE LINGUE –Dopo lo scientifico, Battiato si iscrive a Lingue ma poi molla gli studi: l’insegnamento standard era per lui decisamente troppo standard. A un certo punto inizia a studiare arabo. Le lingue che troviamo nei suoi lavori sono numerosissime. Ci mettiamo ovviamente anche il siciliano. Piccola notazione l’inglese, al contrario delle altre, aveva scelto di pronunciarlo all’italiana. Per quanto riguarda i videoclip, sono molto particolari. Penso a “Un centro di gravità permanente”, girato con pochissimi soldi: videocamera e pochi amici che lo aiutavano in un teatro vicino Varese. La danza dinoccolata ha a che fare con Gurdjieff: c’era infatti questa danza sacra, una serie di movimenti per riappropriarsi del proprio corpo, del qui e ora. Inoltre c’è un forte rapporto col suo spettacolo teatrale “Baby-sitter” del 1976: teatro sperimentale fatto di quadri sonori in movimento”.

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